domenica 16 agosto 2009

Il paganesimo non si può scindere da chi lo pratica e racconta

Sto preparando le nuove puntate per il podcast di miti del Giorno Pagano Europeo della Memoria, che riassume, un mito alla volta, le metamorfosi di Ovidio. Così ho avuto l’occasione di constatare ancora una volta come nel paganesimo, al contrario delle religioni monoteiste, non basti leggere il mito ma considerare anche la persona che lo racconta. In Ovidio quasi tutti gli amori degli dei sono stupri; per tutte le Metamorfosi ci sono dei infoiati, con Giove in testa, che zompano addosso alle ragazze. Ma questa è la visione di Ovidio, che era anche il poeta delle opere amorose in cui si sosteneva che la violenza è gradita alle fanciulle.
Questo che vedete sotto è invece un vaso greco, che raffigura l’amore tra Zeus e Leda


Non so voi, ma io lo trovo tenero, e ben lontano dal concetto di stupro.
Purtroppo facciamo evidentemente ancora fatica a staccarci dal concetto di libro sacro: perché Ovidio ha fatto una raccolta di miti non significa che non li abbia scelti, modellati e interpretati secondo i propri gusti e le proprie idee. Così anche per Esiodo, grande misogino, il cui odio per le donne è oggi riconosciuto come una caratteristica personale e non della sua società. Invece dovremmo tenere presente che dietro il racconto di un mito non c’è solo una società, ma anche una persona, che vive il proprio paganesimo, senza libri sacri, ma con valori condivisi con la società (cosa possibile per le società antiche, che nascevano pagane con tutto quello che ne consegue) e idee personali, che rientravano ugualmente nella costruzione del proprio paganesimo. Il poeta o l’artista scelgono di raccontarci un preciso mito in una certa maniera: lo consideriamo già valido per gli autori moderni, dovremmo farlo anche per gli antichi.